Pubblichiamo l'ultimo post di Francesca Vecchioni, un bell'articolo dopo un'estate con forti precipitazioni di ignoranza, bigottismo e poco senso della realtà (oltre a una mancata percezione del significato del concetto di dignità umana come diritto al rispetto).
Le migliori perle, come spesso accade, ci arrivano direttamente dalla politica; ambiente dove, “diciamolo” (cit), il livello di preparazione e informazione dovrebbe essere almeno, almeno aggiornato alle letterature dei nostri tempi. E invece: continue chiamate “alle armi” per darsi un tono (o un voto?) tra “boutade”, barzellette e dichiarazioni della più alta indignazione.
A concederci il materiale per le nostre riflessioni sono le ultime vicende di questi giorni: dall'appropriazione illegittima, da parte di Fratelli d'Italia, di uno scatto di Oliviero Toscani con l'aggiunta dello slogan (a dir poco omofobo) “Un figlio non è un capriccio. No alle adozioni per i gay”, passando per le dichiarazioni di Gasparri, Giovanardi e Avvenire (che trio!) dopo la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma che ha accolto il ricorso di due mamme italiane, sposate all'estero e con una figlia concepita, sempre all'estero, con procreazione assistita eterologa. Dopo la sentenza, anche la mamma non biologica è riconosciuta dalla legge come genitore a tutti gli effetti e con tutti i diritti e doveri che questo ruolo, nei confronti della figlia, comporta.
Le due mamme, secondo l'Avvenire, “Volevano andare oltre il loro amore lesbico. In sfregio alle leggi, e al normale buon senso, hanno preteso di 'sposarsi', acquisendo in qualche Paese facile un pezzo di carta che in Italia non vale nulla". Si sono poi pagate "ciò che la legge nel nostro Paese, e la natura, non avrebbero consentito: la vita di un bambino". Infine, un interrogativo: "Che succederà quando due uomini si presenteranno con un figlio comprato all'estero, strappato alla donna che lo ha partorito e al suo utero pagato e calpestato? Perchè a loro si dovrebbe dire di no?”.
Fai un bel respiro e continua a leggere.
Il livello di queste dichiarazioni non è solo strumentale, infimo ed evidentemente disinformato e superficiale. Oltre a non prendere lezioni sul diritto di autodeterminazione delle donne da Avvenire o dalla Santa Madre Chiesa, ci siamo stufati di lasciare il passo a una politica del terrore che vede noi, le nostre famiglie, i /le nostri/e partner, i nostri figli e le nostre figlie come “oggetti di paura”. “I Paesi facili” di cui sopra si parla sono semplicemente Stati più civili del nostro.
Ci ritroviamo a commentare l'ennesima occasione persa per far sì che chi ha gli strumenti per fare la differenza (mediaticamente e politicamente parlando), invece di spendersi per la costruzione di una cultura sociale, politica e legislativa più inclusiva, invece, esclude e giudica.
Non abbiamo dieci vite, solo una.
La vorremo passare costruendo progetti che ci rendano il più possibile vicini al momento che è felicità e poi già passa; stanchi ma soddisfatti per il lavoro e le soddisfazioni che ci sono, mancano o arriveranno, non possiamo fare a meno di continuare ad ascoltarvi e ascoltarci.
La consapevolezza di sentirsi minoranza (qualsiasi minoranza), vi garantiamo, se ben elaborata può portare a confronti profondi tra il proprio punto di vista e quello dell'Altro. Da qui nasce l'empatia e l'intelligenza che tutti dovremmo cominciare a prendere un po' più in considerazione: quella emotiva.
La discriminazione non fa bene né a chi la esercita né a chi la subisce. Fare i bulli in politica men che meno.
La diversità è un bene comune. Di cosa avete paura?
Qui l'articolo di Francesca Vecchioni, buona lettura 🙂